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Le 5 Cose Che Non ti Dirò Mai sull'Educazione Positiva o Evolutiva

mar 28

10 minuti di lettura

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educazione positiva


“Educhiamo non per il mondo che è, ma per il mondo che potrebbe essere.”  — Carl Rogers



Caro Genitore,


C’è chi pensa che l’educazione positiva (anche chiamata rispettosa, evolutiva, a lungo termine) sia una moda passeggera, chi la confonde con il buonismo, chi la guarda con diffidenza e chi, invece, vorrebbe tanto abbracciarla… ma si sente già in difetto prima ancora di iniziare.


La verità? È che questo tipo di educazione crea scompiglio. Non si fa largo a colpi di regole o slogan, ma con domande scomode, scelte intenzionali, e un pizzico di disobbedienza gentile.


Se hai sentito parlare di educazione positiva e ti sei chiestə “Ma quindi che cos’è? Funziona davvero? È per me?”, allora sei nel posto giusto.


In questo articolo non troverai formule magiche, ma nemmeno le solite frasi consolatorie.

Ho raccolto 5 convinzioni comuni che spesso vengono attribuite a questo approccio, ma che – per esperienza personale e professionale – non solo non lo rappresentano, ma ne distorcono completamente il significato.


Sarà un viaggio tra ironia, verità scomode e tanta voglia di cambiare prospettiva.

Perché educare nel rispetto, in maniera positiva ed evolutiva non è solo una questione di metodo, ma una scelta di visione.

E ogni visione, quando è autentica, merita di essere guardata da vicino.


🤗 Prontə?


 

Ecco 5 idee che potresti avere sull’educazione positiva:


1️⃣Nell’educazione positiva basta l’amore


"Io voglio un bene immenso a miə figliə, più che a chiunque altro, quindi sicuramente sto facendo tutto il possibile."


L’amore per un figliə è una forza immensa, un motore che spinge a dare il meglio, a esserci anche quando si è stanchi, a provarci nonostante tutto. Ma – e qui arriva il punto scomodo – non basta.

L’amore non è un piano educativo. Non è una guida pratica. Non ti dice come rispondere ai no urlati nel corridoio, ai lanci di giochi in salotto, alle crisi davanti alla porta dell’asilo. Non ti dice come contenere senza punire, come dire un no senza spezzare, come gestire la tua rabbia senza riversarla. E soprattutto, non ti dice cosa si nasconde dietro quei comportamenti che a volte sembrano inspiegabili.


Molti genitori mi dicono: "Ma io gli voglio tantissimo tantissimo, perché non funziona?" E il punto è proprio questo: non è questione di amore, ma di consapevolezza.


Per crescere figliə nel rispetto, nell'empatia, nella resilienza, bisogna prima imparare a vedere. Vedere i propri automatismi, le proprie ferite, i propri punti di forza ma anche i propri limiti. E poi imparare. Formarsi. Chiedere aiuto. Cambiare punto di vista. Smettere di cercare formule magiche e iniziare a costruire strumenti reali. Mettere in pratica, sbagliare, riprovare.


Si tratta di costruire, nel tempo, un vero e proprio bagaglio culturale su come funzionano i bambini e la loro crescita. Questo evita di cadere nei luoghi comuni (tipo: "lo fa apposta", "mi sfida", "ha bisogno di una lezione", “deve obbedire” ecc) e permette di acquisire maggiore consapevolezza. La conoscenza diventa così strumento, e lo strumento si trasforma in azioni mirate e funzionali, capaci di nutrire davvero la relazione.


Altrimenti è come voler scalare una montagna con l’amore per la natura ma senza mappa, scarponi e acqua. Bello, romantico, ma rischi di rimanere a metà strada o peggio.


Quindi no, non ti dirò mai che basta l’amore per cavartela. Ti dirò che l’amore è il carburante, ma che ci vuole anche una direzione. E gambe allenate. E voglia di fermarsi a guardare la rotta, di tanto in tanto.


Se ti senti scomodə, a disagio o in colpa perché pensavi che l’amore fosse sufficiente, voglio dirti che questa idea non è una condanna, è un inizio. Perché se sei qui a leggere, significa che stai già mettendo un piede fuori dal (tuo) sentiero battuto.

E questa, credimi, è la parte più potente del tuo amore. 💛



 

2️⃣L’educazione positiva è una specie di anarchia coi fiori


Purtroppo devo ammettere che, da fuori, può sembrare così. L’educazione positiva ha questo effetto: si vedono bambinə che piangono senza essere messə in castigo, genitorə che si abbassano all’altezza dei figli invece di urlare dall’alto, limiti spiegati con voce calma invece che con un “perché sì”. E subito scatta il pensiero: "Ah, ecco, questi sono quellə che lasciano fare tutto, quellə che non dicono mai no, quellə che confondono il rispetto con la libertà assoluta."


No.


L’educazione positiva non è permissiva. Non è una versione flower power del “fai come ti pare”, e non è un lasciapassare per il caos. È un’educazione in cui le regole ci sono, eccome. Solo che non si impongono con la paura, ma si costruiscono nella relazione. E sai cosa? Questo è immensamente più difficile.


Perché contenere unə bambinə senza urlare, dire un no senza minacciare, accompagnare una crisi senza spezzare la connessione… è faticoso. Serve equilibrio. Serve intenzione. Serve una chiarezza interiore che non sempre si ha, specie se si arriva a sera con i nervi scoperti e la stanchezza di una giornata intera. Ma soprattutto serve sapere perché si sta dicendo di no. Non un no per abitudine, per reazione o per salvare la faccia davanti agli altri. Un no che arriva da una scelta educativa coerente, che tiene conto dellə bambinə, della fase evolutiva, del bisogno nascosto dietro quel comportamento.


Molti genitorə temono che se non impongono subito e con fermezza, perderanno autorità. In realtà, l’educazione positiva lavora per costruire un’autorità interna nellə bambinə. Non ubbidienza cieca, ma senso critico. Non paura della punizione, ma consapevolezza delle conseguenze. Non regole imposte dall’esterno, ma significative, vissute, condivise.

E questo non significa che lə bambinə decida tutto. Significa che ha diritto a essere consideratə come una persona intera, anche a due anni. Che ha voce, emozioni, bisogni. E che il nostro ruolo non è quello di addestrarlə, ma di guidarlə.


Quindi no, non ti dirò mai che l’educazione positiva è libertà assoluta, o che lə bambinə cresciutə così vivranno tra arcobaleni e sorrisi eterni. Ti dirò che ci sono regole, ma sono scelte con intenzione. Che ci sono limiti, che hanno un senso. Che c’è fermezza, ma è radicata nell’empatia.

È un’educazione che non urla, ma resta. Che non schiaccia, ma regge. Che non controlla, ma accompagna. E che, proprio perché non si impone con la forza, va capita fino in fondo. Altrimenti, sembrerà solo peace and love.



 

3️⃣Nell’educazione positiva il bambino è al centro di tutto


C’è questa credenza errata per cui si crede che in questo approccio educativo “il bambino è al centro di tutto!" E posso anche capire il perché: dopo generazioni di adultocentrismo, in cui l’infanzia è stata vista come una fase da "aggiustare" per diventare adulti perbene, mettere lo sguardo sullə bambinə sembra uno squilibrio.


La verità è un’altra: nell’educazione positiva non è lə bambinə al centro. E nemmeno l'adulto. È la relazione.

Quando parliamo di educazione positiva o evolutiva, non stiamo spostando il faro su un estremo o l'altro. Non stiamo togliendo potere agli adulti per darlo ai bambinə. Stiamo dicendo che in una relazione sana, entrambə le parti contano. Entrambə sono ascoltatə, consideratə, rispettatə (pur ricordando sempre che la responsabilità spetta ai grandi).


Il rischio, però, è che da fuori sembri che al comando ci sia il bambinə: "Chi ti accompagna nel lettino, mamma o papà? Va bene. Vuole vestirsi da dinosauro per andare all’asilo? Va bene. Ha una crisi al supermercato? Lə si consola invece di punirlo." E, dietro ognuna di queste situazioni, in una visione evolutiva, non c’è resa. C’è lettura. C’è intenzione. C’è unə adultə che non cede, ma sceglie.


Il punto non è mettere al centro il bambinə, ma riconoscere la sua umanità. Anche se non sa ancora esprimersi come un adultə. Anche se piange, si oppone, si ribella. E non significa nemmeno annullare la propria. Significa costruire uno spazio dove entrambə possano esistere.


Spesso, il genitore che abbraccia questo approccio si sente dire: "Stai viziando tuo figlio", "La metti su un piedistallo", "Così non imparerà mai a stare alle regole". E questo crea un senso di solitudine, a volte anche di dubbio. Perché quando fuori tuttə ti dicono che stai esagerando, che sei troppo morbidə, troppo accogliente, troppo tutto... è facile pensare di star sbagliando.


Ma quello che forse non si vede da fuori è che quel genitore sta facendo un lavoro enorme: quello di mantenere fermo il proprio posto, senza dover schiacciare l’altro per sentirsi autorevole. Sta facendo un passo indietro non per sparire, ma per creare spazio. Sta mettendo al centro la relazione, non il capriccio.


(Esiste anche uno stile educativo chiamato permissivo, in cui le scelte del genitore non nascono da una riflessione empatica e autorevole, ma da un atteggiamento più vicino al lassismo: un evitamento delle responsabilità, una concessione comoda, spesso dettata dal desiderio di evitare conflitti. Questo approccio può generare molta confusione e lasciare segni nella relazione. Ma di questo parleremo in un altro articolo.)


L’educazione positiva o evolutiva non dice: “Tutto quello che vuoi, amore mio”. Dice: “Ti vedo, e anche se adesso non posso darti ciò che desideri, ti accompagno nella frustrazione”. E questa è forse la forma di presenza più potente che possiamo offrire.


Quindi no, non ti dirò mai che in questa educazione lə bambinə è al centro di tutto. Ti dirò che c’è uno spazio condiviso, costruito giorno per giorno. Uno spazio dove ogni bisogno viene accolto, filtrato, rispettato. Uno spazio dove si cresce insieme.

Perché non si educa dall'alto. Si educa accanto.


👉[Puoi leggere un approfondimento qui].



 

4️⃣ L'educazione positiva è per tutti


Questa è dura da digerire, lo so. L’educazione positiva o evolutiva viene spesso vista come un’educazione inclusiva, aperta, accogliente... e lo è. Ma la sensazione è che sia un tipo di educazione adatta solo ad alcuni genitori. 

Voglio dirti che è proprio così: non perché escluda, ma perché richiede un tipo di impegno che non tuttə sono prontə a sostenere. O meglio: non tuttə sono dispostə a mettersi in gioco fino a quel punto.


Perché questo approccio educativo non è qualcosa che applichi sull'altrə, sul bambino, per intenderci. È qualcosa che cambia te. E quasi mai è qualcosa di facile.

Perché l’educazione evolutiva non è una formula da copiare, è un percorso trasformativo. Un percorso che ti chiede di guardarti dentro, di accogliere la tua fatica, di rimettere in discussione le tue reazioni, le tue credenze, i tuoi schemi automatici. Non solo una volta, ma tutti i giorni.


E diciamolo: non è per chi cerca la scorciatoia. Non è per chi vuole “far smettere di...” il bambinə il più in fretta possibile. Non è per chi vuole ottenere risultati rapidi e visibili, tipo: da oggi non urla più, da domani mi obbedisce. È un’educazione che lavora in profondità. Non ti garantisce un figliə tranquillə entro fine mese, ma ti propone di costruire una relazione stabile, autentica e flessibile nel tempo.


L’educazione evolutiva o positiva ti costringe a fare i conti con la tua parte più fragile. Con le volte in cui non riesci. Con i giorni in cui sei stancə, frustratə, arrabbiatə. Con la voce dentro che ti dice: “Ma chi me lo fa fare?”

Proprio per questo spesso sembra un approccio d’élite, a cui alcuni non possono (o vogliono?) accedere. Eppure è proprio lì che si cresce. Quando scegli di non reagire solo per sfogarti, ma di rispondere in modo intenzionale. Quando accetti di imparare, invece che di avere ragione. Quando ti siedi accanto a tuə figliə anche se dentro hai un uragano.

E no, non ti verrà sempre. E è normale sia così.


Quindi no, non ti dirò mai che l’educazione positiva è per tuttə. Ti dirò che è per chi è prontə ad attraversare il disagio. Per chi ha il coraggio di disubbidire a ciò che ha ricevuto, per creare qualcosa di diverso. Per chi non vuole solo unə figliə che si comporta bene, ma unə figliə che si sente bene.

Se questo ti spaventa, è normale. Se ti attira nonostante la fatica, è un buon segno. Perché il cambiamento non inizia quando trovi la strada giusta. Inizia quando decidi che quella di prima non ti basta più.


 

5️⃣ L'educazione positiva non prepara al mondo reale


Questa è una delle critiche più frequenti, quasi sempre accompagnata da un tono preoccupato e un sopracciglio alzato: "Ma così non lo prepari alla vita vera!"

Come se crescere unə bambinə con rispetto e gentilezza lo rendesse automaticamente inadattə a sopravvivere in un mondo che – diciamolo – spesso è tutt’altro che gentile.

Ma facciamoci una domanda scomoda: che idea abbiamo del mondo reale?


Se per "mondo reale" intendiamo un luogo duro, competitivo, spietato, dove vince chi urla di più o chi sopprime meglio le emozioni… allora sì, forse l’educazione positiva non prepara a tutto questo. Ma la verità è che non dovrebbe farlo. Perché il mondo reale può anche essere altro. Può essere fatto di relazioni sane, di ascolto, di confronto. E se vogliamo che sia così, dobbiamo cominciare da come cresciamo le persone che lo abiteranno domani.


Preparare unə bambinə al mondo reale non significa allenarlə al dolore, ma insegnargli a riconoscerlo. Non significa spegnerlə per renderlə più gestibile, ma aiutarlo a regolare le proprie emozioni senza vergogna. Non significa renderlə forte ignorando la sua vulnerabilità, ma mostrargli che la vera forza è sapere chiedere aiuto.


Una delle paure più grandi dei genitorə è: "Se lo tratto con delicatezza, crescerà fragile." Ma la fragilità non nasce dalla gentilezza. Nasce dal sentirsi solə, non visti, giudicati. I bambinə cresciutə con rispetto diventano adulti più flessibili, più empatici, più capaci di distinguere tra un limite sano e un abuso. Non accettano tutto, ma sanno dire di no. Non si piegano al primo ostacolo, e non si chiudono alla prima difficoltà.


L’educazione evolutiva non protegge i bambinə dalle frustrazioni: li prepara ad affrontarle, senza perdere la connessione con sé stessə. Quando unə bambinə cresce sapendo che può esprimere ciò che prova, che viene accolto anche nei suoi momenti difficili, che può sbagliare senza sentirsi sbagliato… diventa un adulto che non crolla quando le cose vanno storte. Diventa un adulto che si conosce.

E non è forse questo che vogliamo per loro? Un mondo reale dove possano orientarsi con bussola interna, piuttosto che adattarsi a sopravvivere con corazze?


Quindi no, non ti dirò mai che l’educazione positiva non prepara al mondo reale. Ti dirò che lo fa meglio. Perché prepara persone che sanno entrare in relazione, che conoscono i propri limiti, che sanno ascoltare e farsi ascoltare. Persone che non hanno bisogno di dominare o di sparire per sentirsi al sicuro.

E se il mondo reale, oggi, non somiglia ancora a questo… allora tanto più vale la pena iniziare a cambiarlo.



 

Prima di salutarci...


Siamo arrivati alla fine, Carə Genitore, e come avrai capito, l’educazione positiva non è solo un insieme di tecniche, ma una scelta profonda. Una scelta che ti invita a cambiare sguardo, ad accettare il conflitto come parte della crescita, a rimettere al centro la relazione invece del controllo.

Hai visto che non si tratta di mettere lə bambinə su un piedistallo, ma di costruire uno spazio condiviso. Che non si cresce eliminando la fragilità, ma imparando a starci dentro. Che la gentilezza non rende deboli, ma profondamente forti. Che il rispetto non vizia, ma radica.

E, soprattutto, che preparare al mondo non significa adattare lə bambinə a un sistema disfunzionale, ma educare persone capaci di trasformarlo.


Quanto spazio stai lasciando oggi per la relazione che sogni domani?




A presto.

Silvia.


 

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